martedì 20 gennaio 2009

{Recensione} Japanese Time (Antiche fiabe del Paese delle nevi)

Ho appena finito di leggere un libretto molto interessante e penso che un consiglio di lettura a riguardo si adoveroso (quindi perdonate se il post non sarà molto lungo).

Titolo: Antiche fiabe del Paese delle nevi – Racconti giapponesi
Titilo originale: Yukiguni no mukashi no monogatari
Traduttore: Serena D'Alessio
Anno: 2002
Casa editrice: Gribaudi
Genere: Culture Orientali
Pagine: 78
Prezzo: 6.00€
Quarta di copertina: Questa piccola e curiosa raccolta i fiabe provenienti dal "Paese delle nevi" – nel Giappone centro-settentrionale – evidenzia caratteristiche spirituali comuni a tutte le culture, introducendoci nell'antico Oriente con l'immediatezza tipica del racconto orale.
Carichi di saggezza e talvolta di risvolti umoristici, questi racconti vantano una tradizione orale antichissima.
In questa zona del Giappone, isolata per buona parte dell'anno, i suoi abitanti usavano riunirsi attorno al braciere nelle piccole case dalle pareti di carta e raccontare storie per divertire ed educare i piccoli e affascinare i grandi.
Serena D'Alessio ha vissuto per molto tempo in questi luoghi a contatto con gli abitanti assorbendone la cultura e i modi di vivere semplici, ma densi di quell'antica saggezza popolare che li ha resi famosi anche nel nostro Occidente.
Parere personale: Questo libretto è molto carino, ha storie che fanno riflettere anche chi non sa molto della cultura giapponese e, magari, non si intende di certe cose. Di sicuro sono racconti per bambini, ma fanno riflettere anche gli adulti. I temi principali sono la generosità, l'umiltà e la pazienza; in ogni racconto chi si comporta bene viene ricompensato, chi pecca viene punito o dalle divinità o dagli eventi.
Peccato sia un libro reperibile solo via internet, ma la spesa vale proprio la pena (vi consiglio di prendere più libri, perché le spese di spedizioni potrebbero costarvi più del libro stesso).

(L'immagine al momento non è disponibile, appena avrò un attimo di tempo la scansionerò)
Eruannë.

venerdì 16 gennaio 2009

Quantità non è più sinonimo di Qualità

Ritorniamo dopo le vacanze e dopo aver mancato totalmente un appuntamento che avevamo promesso; mi dispiace molto non avervi potuto consigliare che libri regalare a Natale, ma mi sono resa conto che la maggior parte dei libri che avremmo potuto consigliare non erano poi così consigliabili e, proprio da questo, parte l'idea per questo post.

Ho appena finito di leggere l'ultima recensione fatta da Gamberetta e che riguarda il libro Bryan di Boscoquieto, libro pseudo-fantasy scritto da un adolescente (e questo non dovrebbe essere un fattore per scegliere o meno una lettura, ma le case editrici ci campano con questa storia); all'interno della suddetta recensione c'è una parte molto interessante su quanto i libri più scadenti occupino posto nelle librerie.
In Italia (come anche in altri Paesi, non lo nego) si sa, ormai ciò che non è scritto male e non ha senso non viene pubblicato e se dovessimo fare un elenco di tutti i capolavori degli ultimi due anni, sarebbe talmente lungo che i nostri computer scoppierebbero.
Nell'ultimo anno, come ha detto Gamberetta nel suo post, sono stati dati alle stampe oltre 61.000 titoli e di sicuro la maggior parte di questi è stata valutata da gente incompetente per quel genere/settore/lavoro, questo perché ormai si guarda alla figura dell'editor come a una cosa pressoché inutile, visti i programmi di scrittura che correggono automaticamente gli errori e, il più delle volte, ne commettono a loro volta perché sono *rullo di tamburi* macchine, non hanno intelligenza propria e non riconoscono quando è giusto e quando non lo è.
A parte questo, il lavoro degli editor qualche anno fa era indispensabile per poter pubblicare qualcosa di valido, adesso abbiamo esempi come Moccia, Valentina F., Troisi, Ghirardi, Strazzulla e tanti altri che non hanno mai visto un editor in vita loro, o meglio, l'avranno anche visto, ma il più delle volte chi si occupa di certi generi non li conosce abbastanza per poter essere considerato valido nel suo lavoro.
È l'esempio del fantasy italiano che, seguendo le orme di quello degli altri Paesi, sta sfornando autori e libri sempre più scadenti, con errori da far accapponare la pelle perché gli editor a cui vengono sottoposti i manoscritti, anche trovando le cose più strane le accettano come sono, visto che vige il motto «tanto è fantasy».
Ma ciò non accade solo nel reparto fantasy delle librerie, ma anche negli altri, come per esempio nel reparto romanzi rosa o libri per ragazzi.
C’è ancora molta gente che pensa che ai ragazzi vada bene qualsiasi cosa e così ci ritroviamo scaffali pieni di Moccia o Valentina F. che danno immagini totalmente sbagliate delle nuove generazioni e che scrivono ancora peggio di quanti si mettano a fare gli editor per il settore fantasy.
Ma davvero nelle case editrici pensano che i ragazzi siano così stupidi da non accorgersi delle ciofeche che gli rifilano? Evidentemente è così, visti gli ultimi capolavori che si trovano in libreria e che occupano spazio (come diceva Gamberetta nel suo post) a quelli che meriterebbero un posto sugli scaffali.
È tristemente noto che le case editrici sono aziende volte solo a fare soldi (cosa che tempo addietro non era così o almeno non solo) e quindi puntano su chi pensano gli faccia vendere di più a discapito della qualità di un testo.

«Tanto ci pensa l’editor»: ecco un’altra frase che aleggia tra autori e lettori che conoscono un minimo della procedura di pubblicazione di un volume, ma quando non è così? Quando ci ritroviamo un libro fatto e finito che presenta errori? Cosa si pensa?
Io penso subito che:
  1. l’autore non abbia mai preso in mano un dizionario o una grammatica per controllare gli errori o non si sia documentato a sufficienza su certi argomenti di cui ha scritto;
  2. l’editor abbia preso per buono ciò che ha scritto l’autore, perché in fondo anche lui è un grandissimo ignorante, soprattutto ignora certe regole fondamentali di grammatica/italiano/coerenza logica;
  3. autore ed editor abbiano fatto credere all’editore (se esiste ancora questa figura) di aver prodotto il capolavoro di tutti i tempi e, come tale, debba essere pubblicato, pubblicizzato e venduto a discapito di libri veramente validi.
E arriviamo al punto «Quantità non è sinonimo di Qualità», infatti basta vedere chi c’è in tutte le librerie, chi occupa più spazio sugli scaffali e chi ha cartonati a grandezza naturale di autore o copertina, tanto per invogliare a comprare un libro pubblicizzato.

Perché si sprecano soldi con gente che ha scritto cose con i piedi e non si punta di più sulla qualità? In questo modo avremmo un discorso di «Quantità è sinonimo di Qualità» e noi lettori saremmo più contenti.

Perché si punta su un ragazzino che non ha l’esperienza necessaria per essere pubblicato e, quindi, non può aver scritto un capolavoro? Come sempre ci tengo a sottolineare che ci sono casi eccezionali nei quali abbiamo ragazzi anche di sedici-diciassette anni (o anche più piccoli) che hanno talento e lo sanno far fruttare al meglio... purtroppo non è il caso di Ghirardi o Strazzulla o Valentina F.

Forse le case editrici pensano che i lettori gradiscano cose scadenti, ma molto pubblicizzate? Non è per tutti così. Io, ad esempio, mi schifo a leggere cose scritte dalla Troisi o da Moccia. Ho avuto un’educazione alla lettura troppo sofisticata? Non penso. Forse è solo perché ho avuto insegnanti di lettere che mi hanno fatto apprezzare autori più “dotati”, cioè qualcuno che ha fatto la storia della letteratura non per quella (passatemi il termine) botta di culo, ma per l’impegno che ha dimostrato nello scrivere, per rendere i suoi lavori pieni di qualità.

Ma come per tante altre cose ormai la quantità non va di pari passo alla qualità...

Non sarebbe ora di cambiare le cose?

Eruannë.